doncirillovitalinimodDon Cirillo Vitalini nacque a S. Antonio Valfurva il 14 dicembre 1915, fu parroco a Bratta, frazione di Bianzone, dal 1939 al 1957 e poi a Stazzona, dove morì nel 2003. Nell’aprile del 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della liberazione, ricevette un Diploma di benemerenza dal Presidente della provincia di Sondrio Enrico Dioli, per aver salvato tante vite durante la seconda guerra mondiale, ma anche il paese di Bratta da un incendio di ritorsione per il saccheggio della caserma della Guardia di Finanza a Campione.

Ecco come egli stesso racconta il tragico periodo della guerra agli studenti dell’Istituto Balilla Pinchetti di Tirano :

Il 9 o 10 di settembre 1943 arrivarono i soldati tedeschi a Tirano, silenziosa e mezza deserta; incontrai in bicicletta, al ponte del Poschiavino il primo reparto a piedi e con profondo rammarico pensai: “Ecco che arrivano!”. Immediatamente DonGiuseppe Carozzi di Motta mi inviò ottanta Ebrei da Aprica (dove erano confinati da mesi), donne, bambini, uomini con valigie da indirizzare in Svizzera. Parlai prima con il Brigadiere della Guardia di Finanza a Campione sopra Bratta. Essi li presero sotto la loro protezione, li accompagnarono e poi, con loro, si rifugiarono tutti oltre confine. Da quel giorno molte persone salirono a Bratta e per espatriare; parecchie bussarono anche alla mia porta di giorno e di notte. Passò anche un nutrito gruppo di ex soldati italiani che si rifugiarono in Svizzera: erano trafelati; mia sorella Maria preparò loro una pentola di thè, che fu molto gradito. Ricordo che, una notte, Zeno Colò, famoso sciatore d’altri tempi, arrivò a casa mia. Anche lui era un ex soldato e fuggitivo…  Poco tempo dopo Don Camillo Valota, Parroco di Frontale, fu arrestato a Bianzone (in località Prada) mentre accompagnava quattro aviatori inglesi, evasi dalle prigioni nazifasciste, che volevano passare in Svizzera. Aveva disubbidito a un mio preciso consiglio, consegnato per iscritto (e nascosto nelle calze) al ragazzo che egli aveva mandato a chiedermi informazioni: “Precedili o seguili e venite per la campagna e i vigneti”. Invece egli travestì gli aviatori con i suoi abiti talari e, sceso dal treno, passò nel centro di Bianzone davanti al Municipio, dove c’era il segretario repubblichino di origine toscana. Egli si accorse che questi giovani non erano preti perchè gli abiti talari del piccolo Don Valota arrivavano loro quasi alle ginocchia: li fece immediatamente seguire e arrestare. Portati a Villa di Tirano, gli aviatori tornarono prigionieri e Don Camillo , dopo il campo di concentramento italiano di Fossoli fu internato nel lager di Mauthausen. Dopo la liberazione Don Valota ricoprì decorosamente per quarant’anni la carica di Cappellano degli italiani emigrati in Francia. Subito dopo questo fatto Don Francesco Cantoni, Parroco di Bianzone, mi disse: “Fuggi in Svizzera, ti cercano!” Dormii per una settimana nel sottotetto della scuola (che aveva la scala retraibile), finchè il buon Zamariola fece sapere che la cosa si era appianata. Il 13 settembre 1944 i soldati tedeschi che occupavano la Caserma della Finanza a Campione sopra Bratta, si spostarono momentaneamente a Teglio. A caserma vuota qualcuno ne approfittò: sparirono una trentina di coperte e altrettante lenzuola. I pastorelli (e con loro molti altri), trovate aperte le porte, completarono il saccheggio. Approfittando del telefono che collegava la caserma alla Tenenza di Tresenda i ragazzi misero sull’attenti la Guardia di Finanza che avvisò le autorità nazifasciste. Il giorno dopo giunse voce a Bratta che soldati tedeschi da Campione e repubblichini da Bianzone sarebbero arrivati nella frazione per incendiarla. Fu un fuggi fuggi generale, chi verso la Svizzera in località “Bonget”, chi verso il basso. La frazione era deserta. Restò solo il parroco; chiesa, casa, archivio e le umili casette con la segale come alimento invernale. Che fare? Ultima risorsa: affrontare i potenziali incendiari tedeschi e fascisti! “Non ci sono partigiani, non sono stati loro” avrei detto “ma ragazzi irresponsabili”. Sapevo che quelli non scherzavano. Ma raccomandatomi a Lui, il Signore, e forte del buon fine che avevo, partii verso la caserma di Campione. Sbucato dal bosco sul prato sotto la caserma vidi una decina di soldati tedeschi, con i mitra spianati contro di me, con l’intenzione di fare fuoco: mi avevano scambiato per un partigiano. Qualcuno li trattenne; “Sentiamo che dice”. Poteva essere stato Nemesio Pasquale che era lassù con la “priala” (carro a due ruote usato nelle strade selciate di montagna) incaricato di portare giù i resti del saccheggio. Lo ringrazio e prego per lui, morto da due anni. Fui accolto dall’ufficale tedesco con una sola frase: “ Scendere e sparare! Scendere e sparare!”. Quando spiegai al soldato interprete, quello che intendevo dire, capirono, si guardarono, si consolarono e scendemmo tranquilli verso Bratta, dove fecero niente di niente; vollero solo il risarcimento del danno. Una loro frase però mi colpì: “Noi siamo della Whermacht (esercito regolare tedesco) ma se ci fossero le SS sarebbe diverso”. Pensai che anche loro fossero credenti, umani. Le SS no; la barbarie maggiore venne da loro. La faccenda durò una decina di giorni, su e giù da Bratta a Bianzone a piedi, finchè riuscii a raggranellare come estrema ratio le 70.000 lire richieste (50.000 lire alla Bratta e 20.000 lire a Piazzeda), oltre alla restituzione della parte recuperata del saccheggio. Il 29 gennaio 1945 ci fu il bombardamento degli Alleati alla stazione ferroviaria di Bianzone: quattro aerei bombardarono la linea senza gravi conseguenze, poi tornarono a bassa quota e mitragliarono la stazione. Tre persone morirono all’istante: un certo Resta di Villa, una signora di Piazzeda e un’altra di Ardenno; ferirono un certo Battaglia e la signorina Lucia Mazza, maestra a Motta, che era sorella di un mio compagno di sacerdozio, Don Angelo. Ero a Tirano all’Istituto Santa Croce dove studiava mia sorella Amalia; sentito il bombardamento mi precipitai con la bicicletta verso Bianzone sospinto da una leggera tormenta di neve. Sul posto era già presente il Prevosto di Bianzone, Don Francesco Cantoni, che assistette il Battaglia; la maestra Mazza, ormai agonizzante, appena mi vide ebbe un sussulto: forse mi aveva scambiato per il suo fratello prete. Purtroppo, morirono entrambi, dopo aver ricevuto l’Estrema unzione. Qualche giorno prima della fine della guerra, verso sera, arrivarono a Bratta (lo facevano spesso) sei o sette repubblichini. Si fermarono da me, chiedendomi di entrare a far cuocere alcune uova e mangiare un boccone; li accolsi. Nel frattempo giungeva mia sorella Maria che era andata verso “la bassa“ (pianura padana) a comperare un po’ di farina e riso. Annunciò con poca discrezione che la guerra stava per finire. Il gruppetto di militi impallidì, affrettò la cena, ringraziò e poi scomparve. Verso dove? Forse verso la Svizzera, se erano in tempo ad essere accolti. Il 28 aprile, con la battaglia di Tirano e la resa dei nazifascisti, segnò la fine di quel lungo incubo.”  www.pinchetti.net/tesina/chiesa/vitalini.html