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Nato a Roma il 26 febbraio 1901, si arruolò nel Corpo della G. di F. il 07/09/1922 e dal I luglio fu assegnato al Comando della compagnia della Guardia di Finanza di Tirano.
Dopo la guerra, raggiunto il grado di colonnello, fu collocato a riposo il 27 luglio 1961.
E’ autore di numerosi articoli, pubblicati su riviste specializzate, principalmente su argomenti storici, tra cui si segnala “La strada dello Stelvio”, pubblicato sulla “Rivista della G. di F.”, anno 1959, n.3, pag.345 e seg..
E’ deceduto a Chiavari il 19 maggio 1982.
Le vicende riguardanti il mese di settembre 1943 sono raccontate da Marinelli stesso, in una relazione stesa subito dopo la Liberazione e conservata presso l’Archivio storico della Guardia di Finanza. Vi si legge che in una splendida domenica (il 10), il Capitano venne contattatto da don Carozzi, giunto da lui per chiedergli la collaborazione delle Fiamme Gialle nel difficile compito di favorire l’espatrio degli ebrei confinati all’Aprica, ora in serio pericolo di vita per l’arrivo imminente dei tedeschi. Il Capitano Marinelli aderì immediatamente alla richiesta e diede subito ordine ai reparti dipendenti, Brigate e Distaccamenti d’alta montagna, di agevolare in ogni modo l’espatrio della comunità organizzata dal sacerdote. Dall’Aprica gli ebrei, divisi in gruppi, furono accompagnati da Don Carozzi e da Don Cirillo Vitalini. Un centinaio furono caricati su un autobus di linea, che a più riprese li portò a Tirano, mentre gli altri raggiunsero la località di Fontanelle a piedi. Grazie all’aiuto offerto dal Marinelli e dai suoi finanzieri, la gran parte di essi si rifugiò a Campocologno, in Val Poschiavo, dove giunsero con la scorta delle Fiamme Gialle più esperte della montagna.
Un altro gruppo dovette spezzare il viaggio, trascorrendo la notte nel villaggio di Bratta, in alloggi di fortuna reperiti dal parroco di quella località. Il giorno successivo essi raggiunsero la casermetta sede del Distaccamento di Campione (località del Comune di Bianzone), da dove, dopo essere stati rifocillati dai finanzieri, furono da questi accompagnati al passo d’Anzana, attraverso il quale varcarono la frontiera verso la salvezza. I finanzieri di Campione furono poi costretti ad abbandonare la caserma appena qualche giorno dopo, in seguito ad un rastrellamento condotto dalle truppe tedesche lungo la dorsale delle Alpi Retiche. Molti di loro si diedero alla macchia, entrando a far parte della Resistenza. L’ultimo gruppo di ebrei, circa una ventina, lasciò l’Aprica il 14 settembre ‘43, rifugiandosi nella canonica di Don Tarcisio Salice, il trentenne parroco di Roncaiola, al quale il collega di Tirano, Don Pietro Angelini aveva inviato nel frattempo altri clandestini. I fuggiaschi raggiunsero finalmente la Svizzera attraverso il valico di Sasso del Gallo, dopo aver miracolosamente scampato alla cattura dei nazi – fascisti, che ormai stavano raggiungendo e presidiando l’intero tratto.
Oltre agli ebrei, il Marinelli aiutò anche degli ufficiali di un Reggimento di Cavalleria (fra i quali il Cap. Nicola Avati ed il Ten. Carlo Ricciardi), sfuggiti dai tedeschi mentre si trovavano in Alto Adige, che furono ospitati, travestiti da finanzieri, presso i Distaccamenti di Sasso del Gallo (che rimase aperto al piccolo traffico) e di Pracampo, dai quali, in seguito, presero la strada della Resistenza, unitamente a molti finanzieri della Compagnia di Tirano. Essendosi compromesso con il sacerdote Don Carrozzi e con il Maresciallo dei Carabinieri, ma anche per aver dato rifugio ai citati ufficiali di Cavalleria, il Cap. Marinelli fu ben presto costretto a fuggire. Il 19 settembre, l’ufficiale ricevette nel suo ufficio la visita di un parigrado delle S.S, il tenente Milder, e di un sottufficiale delle guardie di confine tedesche. Scopo della visita era quello di invitare il comandante della Guardia di Finanza a collaborare con le autorità germaniche, assecondandole nei loro progetti. Marinelli avrebbe dovuto segnalare i nomi dei militari disertori, le cui famiglie sarebbero state tenute in ostaggio dai tedeschi. Gravato dal peso di una così dura responsabilità, ma anche perché deciso a non collaborare con l’invasore, il 22 settembre ’43, appena dieci giorni dopo la “grande fuga”, l’ufficiale espatriò in Svizzera. Vi rimase, sopravvivendo in molti campi d’internamento, fino al 4 luglio 1945, allorquando rimpatriò per il valico di Chiasso.
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