JOHNSON

Jhonson, eh sì Jhonson… fu il nome in codice che mi affibbiarono quando decisi di arruolarmi dell’unione partigiana; un’unione locale, costituita da persone che, come me, cercavano di contrastare il regime fascista, impostosi nel nostro amato paese a quell’epoca. La situazione fin ad allora era terribile, l’Italia era ormai stremata da un governo disumano e repellente. La gente, ormai disperata ed oppressa, cominciò a pensare che era giunto il momento di dare una svolta a questo paese che ormai non era più NOSTRO.

La situazione, purtroppo, degenerava poco a poco costringendo la gente a vivere nella miseria, ma soprattutto nella paura. Tutto sembrava andare a rotoli quando, figure di grande coraggio decisero di mettere un punto a questi soprusi, fondando il movimento partigiano. Il promotore fu Giacomo Cappellini che, in gran segreto, cominciò a reclutare elementi per poter creare un movimento di rivolta. Appena ne venni a conoscenza, il mio cuore ha agito per me e quindi decisi di arruolarmi nelle Fiamme Verdi (operavano nella mia zona). Noi partigiani divenimmo ben presto una “squadra” solida, omogenea e sempre più numerosa; fin che un giorno tutto ciò “venne a orecchio” al capo dell’unità fascista locale (il Signor Spadini) che, purtroppo, cominciò a metterci i bastoni tra le gambe, e non solo i bastoni… ma anche armi, ed io ne porto ancora le cicatrici. Per non rischiare ulteriormente la pelle io ed i miei compagni decidemmo di rifugiarci in Val Paghera, situata nel cuore delle nostre montagne. Dovevamo nasconderci, d’altronde non avevamo scelta, ma tante persone di buon cuore decisero di aiutarci, come i nostri “infiltrati” in paese che ci informavano sulle possibili mosse che i fascisti avevano intenzione di attuare, di modo da poterli precedere… non potevamo prima di farci trovare. La nostalgia di casa era tanta, così un giorno decisi di fare ritorno per poche ore, dovevo riabbracciare mia madre. Mentre riposavo sentii un boato proveniente dal tetto, mi svegliai di soprassalto… quando realizzai che casa mia stava prendendo fuoco… Mi avevano trovato! Mia madre non badò alla casa che stava crollando; il suo primo pensiero era farmi scappare. Così uscii dalla porta sul retro e cominciai a correre mentre la mia famiglia cercava di mettersi in salvo uscendo dalla porta principale. Feci le cose così in fretta che poco dopo mi accorsi di essere scappato senza scarpe… trovai rifugio in un prato vicino casa mia, assistendo da lontano quel tragico incendio. La mia voglia di salvare e soprattutto di fare rinascere il paese andava oltre, così mi incamminai di nuovo verso i monti, naturalmente però non potevo fare un viaggio a piedi così lungo senza scarpe; A casa non potevo tornare, così decisi di passare da un amico calzolaio. Una volta arrivato gli chiesi un paio di scarpe giurando che sarebbe passata mia madre a pagare. Non avevo un soldo. Il calzolaio mi regalò le scarpe, d’altro canto io stavo lottando per tutti… e lui l’aveva capito. Lo ringraziai e cominciai il mio viaggio. Pochi giorni dopo, purtroppo, il nostro “Capo” Giacomo Cappellini venne arrestato. Appena ci giunse la notizia cominciammo a pensare al modo di poterlo salvare. I nostri informatori ci dissero che il figlio di Spadini era ricoverato all’ospedale di Breno. Era la nostra occasione! Decidemmo di rapire il ragazzo per poter fare una sorta di baratto: il ragazzino per Cappellini. Era tutto pronto…Poteva andare tutto liscio quando qualcuno (e non sappiamo ancora chi ) informò i fascisti della nostra spedizione, ci fu uno scontro a fuoco sulle scale dell’ospedale, dove rimasi ferito anche io. Non ci fu nulla da fare! Ormai eravamo stati scoperti quindi dovemmo trasferirci altrove. Nel giro di qualche giorno trovammo un nuovo rifugio: il Mortirolo. Proprio questa località perché proprio lì dei paracadutisti americani sarebbero atterrai per fornirci armi e alimenti per poterci difendere… e pure del cibo. Uno di loro rimase con noi per il resto della “battaglia”, mentre l’altro aveva il compito di recarsi nella località di Lozio dove c’era un’altra pattuglia alleata bisognosa di risorse. Era necessario che una persona dal gran temperamento fosse in grado di condurlo a destinazione e la scelta cadde su di me.

Non è da me raccontare la mia storia, tanto è vero che nemmeno ai miei cari sono mai riuscito a spiegarla senza fermarmi più volte per asciugarmi le lacrime. Sono stati tempi duri ma dentro di me c’era qualcosa che andava al di là della paura… Noi alpini siamo fatti così. Non pretendiamo di essere ringraziati perché ogni cosa è stata fatta con il cuore e con una forza d’animo talmente grande che è difficile spiegare. Io sono fiero di essere un alpino. Sono fiero di aver contribuito alla libertà del mio paese e sono sicuro che anche i miei nipoti lo sono di me. Io sono Jhonson!

Pescarzoli Francesco Jhonson

 

 

PARLANDO DI RESISTENZA ITALIANA

TESINA DI …

Il partigiano Jhonson (Pescarzoli Francesco) che ci racconta di quegli anni passati in montagna, rinunciando a tutto quello che faceva parte della sua vita, dei suoi affetti, per combattere coloro che, con la loro violenza, volevano sottomettere tutta la popolazione italiana privandola del bene più prezioso: la libertà! Con tanta gente come lui, si formò quella che oggi conosciamo come la Resistenza italiana contro il nazifascismo.

E non è difficile capire il perché gli si riempiano gli occhi di lacrime nel raccontarci di quei tempi, dove la vita di ognuno di loro passava in secondo piano nei confronti del fine e del bene comune, contro i sopprusi e la privazione di ogni dignità umana del diritto più elementare di ogni creatura: la libertà di parola, di pensiero, di azione.

“Erano anni bui si era precipitati in una guerra sanguinosa e assurda (la seconda guerra mondiale) quando ci fu l’armistizio di Cassibile avvenuto l’8 settembre 1943 e ci trovammo davanti ad un bivio: tornare a casa abbassando la testa e sottometterci al regime totalitario e oppressivo imposto dal nazifascismo, con il rischio di essere imprigionati e deportati nei campi di concentramento in Germania, o ribellarci e combattere per la liberazione.

Mussolini il 25 luglio 1943 fu deposto e imprigionato in Sardegna e da qui trasferito sul Gran Sasso. Liberato dalla prigionia il 12 settembre da paracadutisti tedeschi, diede origine della R.S.I. (Repubblica di Salò). Io con tanti miei compagni scegliemmo la resistenza. Nelle nostre zone c’erano le formazioni delle Fiamme Verdi, a cui io mi unii, la 53 brigata Garibaldi cappeggiata dal comandante Brasi nelle zone di Lovere e la 54 Brigata Garibaldi a Cevo.

La mia formazione operava sui monti del Mortirolo dove ci furono scontri terribili e sanguinosi con i nazifascisti. Talvolta si scendeva a valle per partecipare ad azioni militari. Venni ferito in uno scontro a fuoco a Breno mentre si svolgeva un’azione per cercare di ottenere (purtroppo invano) la liberazione di Giacomo Cappellini.”

Giacomo Cappellini comandava una formazione che operava sul monte Concarena e nella zona di Lozio. Il 21 gennaio 1945 venne catturato da truppe della repubblica di Salò. Condotto a Brescia nel castello, fu fucilato dopo due mesi di prigionia e sevizie.

“Modesto maestro elementare in un villaggio valligiano, all’inizio della lotta contro l’oppressore nazifascista, abbandonò la sua missione per organizzare una delle prime formazioni partigiane di Valcamonica, Con cui per 17 mesi divise i rischi e le durezze della lotta. In un’imboscata tesa dal nemico, fece scudo di sé stesso ad un suo partigiano, attirando su di sé la reazione avversaria. Ferito al viso ed a una spalla, cessò di far fuoco solo quando la sua arma divenne inerte per inceppamento; catturato sopportò per due mesi durissimo carcere, continui martiri e inumane sevizie, chiuso nel suo sdegnoso silenzio, senza nulla svelare che potesse danneggiare la causa per cui combatteva. Fu sordo alle lusinghe di aver salva la vita se avesse indotto i suoi uomini alla resa e ad ogni nuova tortura che il nemico rabbioso gli infliggeva, rispondeva sorridendo che i partigiani non sono dei vili. Stroncato dalle servizie barbaramente inflittegli, esalava l’ultimo respiro gridando: “Viva l’Italia!”

-Val di Lozio, 21 Gennaio 1945