Pasquini Giacomo

17 Aprile 1929

Intervista a cura di Luigi Mastaglia

Con la partecipazione di  Tullio Clementi

Sonico 29 marzo 2014

Dal libro: “La terza età della Resistenza” di Tullio Clementi e Luigi Mastaglia

D., Lei sa a cosa serve la sua preziosa testimonianza, perciò La invito a raccontare tutto quanto ricorda dei giorni che hanno preceduto e seguito il bombardamento della polveriera, con particolare riferimento al 29 marzo 1945.

Pasquini Giacomo, sono nato il 17 aprile 1929. Erano periodi di crisi, c’era poco da mangiare, io avevo due fratelli, uno, Paolo era disperso, l’altro ha dovuto andare con i partigiani altrimenti lo avrebbero catturato ed inviato in Germania. Lui, insieme ad un suo amico, inizialmente rifugiati in Val Malga in una cascina di nostra proprietà, avevano ucciso e sezionato un vitello. La pelle e le interiora erano state seppellite sotto la calce, mio papà faceva il muratore e teneva sempre una buca dove “spegneva la calce viva”, per farle scomparire. Una squadra di georgiani, al servizio dei tedeschi, sono passati e con l’ausilio di un cane lupo hanno trovato questi resti. Hanno certamente pensato che la macellazione fosse stata fatta per rifornire le formazioni partigiane e così hanno bruciato la cascina. E’ certamente stato un brutto momento, la mia famiglia non aveva molte possibilità, avevamo una mucca e due capre, proprio per poter sopravvivere.

In questa zona (siamo al Rio Blanco, tra Sonico e Rino) c’erano accatastate bombe e munizioni, erano addossate ai muri di sostegno dei terrazzamenti che sostenevano i campi, coperte con dei teli verdi, mimetici (?). Io ero un ragazzetto di circa 14 anni e il Maresciallo Giannubilo e il Maresciallo Pugliese mi hanno detto “Vieni qui da noi che ti diamo qualcosa da fare, di solito ero addetto a raddrizzare i chiodi che poi venivano riusati nel laboratorio di falegnameria situato al piano terreno della casa dove c’erano gli uffici del Comando, all’interno del perimetro della polveriera. Come paga mi davano da mangiare, allora era già molto. Io vedevo tutte queste cataste di bombe addossate ai muri, naturalmente tutta l’area era recintata con filo spinato e sorvegliata, ma sinceramente non è che mi facessero paura tutte queste armi.

D., dov’era il giorno del bombardamento?

Giacomo, qualche volta, un uomo ceco di Sonico Battista Pasquini, che riceveva viveri di sussistenza ed aiuti dalle autorità, mi dava un chilo di riso che io portavo a Loritto (Una frazione del comune di Malonno sul versante opposto a Sonico), il riso lo barattavo con due chili di “mole” (castagne secche) che poi si macinavano per fare la farina per lo “schélt” (una pappa di farina di castagne, alimento prezioso per le popolazioni di montagna), dei due chili di mole, uno lo dava a me per ripagarmi del piacere e del viaggio abbastanza lungo (Sonico – Loritto e ritorno). Il 29 marzo stavo tornando, ero circa a metà strada quando ho sentito il rombo degli aerei, erano sei, poi è scoppiato il finimondo, io sono riuscito a nascondermi in un rifugio nei pressi della ferrovia. E’ arrivata una donna che mi ha detto delle vittime che c’erano state e mi ha detto anche di quello con il mulo che era rimasto sepolto, poi è stato recuperato malconcio ma vivo, il mulo no, quello era morto bruciato. Quando sono arrivato a casa ho incontrato mia mamma con il Parroco di Sonico Don Polonioli che erano preoccupati per me ma anche per i morti ed i feriti. Quattro sono morti subito, altri tre invece sono morti in seguito alle ferite riportate nel bombardamento. Ricordo una donna che aveva perso le gambe, che è morta in cancrena circa due mesi dopo tra i dolori più atroci, la sentivamo gridare dal dolore! A pensarci bene i danni e le vittime provocati dal bombardamento potevano essere più consistenti. Le vittime molto più numerose e anche i paesi potevano essere rasi al suolo.

D., Mi faccia capire, come mai la tragedia poteva essere più spaventosa?

Giacomo, le bombe non erano accatastate tutte insieme, Il perimetro della polveriera era notevolmente esteso, quasi partiva dal cimitero di Sonico ed arrivava fino a ridosso del torrente Remulo, nella campagna che è situata sotto la strada, vi erano parecchi muri che sostenevano la terra e limitavano le proprietà private, prima dell’ampliamento della polveriera. Le bombe erano disposte contro questi muri e su pile staccate tra di loro, per questo non sono scoppiate tutte durante il bombardamento ed i mitragliamenti delle forze aeree angloamericane. Se fossero state tutte insieme, potevano scoppiare insieme causando un immane disastro.

D., E’ a conoscenza di altre morti magari non legate in modo specifico al bombardamento?

Che sappia io ci sono stati anche altri morti, oltre alle sette vittime del bombardamento, ma questi (almeno due) sono morti in seguito allo scoppio di bombe che stavano maneggiando per recuperare una ghiera di rame, che avevano attorno, e che poi veniva venduto per recuperare qualcosa da mangiare. Per fare questo lavoro (l’ho fatto anch’io), ci si doveva servire di uno scalpello ed un martello e si doveva intervenire sulla bomba, il pericolo di scoppio era sempre presente ma, la fame era più forte della paura! Uno di Rino, per lo scoppio di una bomba ha perso la mano, uno di Zazza di cognome Fanetti è morto, lo so perché è fratello di un mio amico che si chiama Pasquale Fanetti e mi ha raccontato in diverse occasioni che suo fratello è morto qui alla polveriera. Anche un altro è morto per lo scoppio di una bomba ma ora non ricordo come si chiamava. Ezio Gulberti, conferma che sono due i morti ma ritiene che sia meglio che i nomi escano da testimonianze. Suggerisce di intervistare il Pasquale Fanetti che è bene informato della vicenda, anche se comunque i due nominativi si potrebbero trovare sui libri: “La Montagna non dorme di Dario Morelli” e/o sulla “Baraonda di Mimmo Franzinelli”.
D., Mi è stato riferito che il rudere che sarà ristrutturato non era il corpo di guardia ma era la cucina del distaccamento militare a guardia della polveriera, altre testimonianze sostengono che era l’alloggiamento del corpo di guardia. Lei cosa mi può dire in merito?
Giacomo, io ricordo che era la cucina, gli alloggiamenti erano situati a valle della costruzione, dove era stata realizzata una baracca di legno, abbastanza grande, che serviva da alloggiamento e dormitorio. Per la precisione nella costruzione che ora è un rudere c’era uno spazio, quello sul lato verso Sonico, adibito a cucina. Sul lato verso Rino ci saranno stati certamente degli alloggiamenti provvisori per i soldati addetti al controllo dei passanti che dovevano transitare dalla stanga esibendo il “papir”. Ricordo che il cuoco, Molteni Enrico, era il marito della Marta Sala (sorella di Nando).

Dove adesso c’è la segheria, scendendo a destra per la stradina c’erano, al primo piano di una costruzione, gli uffici del Comando dove operavano i marescialli Giannubilo, e Pugliese Michele, al piano terreno c’era l’officina ed il laboratorio dove io lavoravo a raddrizzare chiodi, con me anche un certo Marini Gino che faceva il falegname, aggiustava porte e serramenti, io ero il suo “bocia” (aiutante), io avevo quattordici anni e non avrei potuto neanche essere lì, mi tenevano per “misericordia”.

D., Pugliese poi, se non sbaglio, è andato con le Fiamme Verdi

Giacomo, si è vero, quando hanno fatto saltare il ponte scendendo per la strada che dall’Aprica porta in Valtellina, c’era sicuramente anche Pugliese che era esperto di esplosivi, avendo operato nel comando dei guardiani della polveriera. Quando è stato scoperto che collaborava con i partigiani, i fascisti sono venuti per catturarlo e ucciderlo ma lui nel frattempo aveva portato la moglie e i figli, Pasquale e la Maria Grazia, a casa mia e lui si è aggregato ai partigiani. Lo ricordo come una persona buona, nel giardino aveva le pecore e ogni tanto mi dava mezzo agnello, era proprio un buon uomo ed anche con la popolazione è sempre stato corretto. Anche Giannubilo era un buon uomo, veramente si può dire che sono state due persone che hanno sempre aiutato la popolazione di Sonico e di Rino, per quanto era loro possibile.

D., Tullio, (che nel frattempo ci ha raggiunti), Pugliese è quello che da le informazioni a Nando Sala sulla polveriera. Informazioni che sono state trasmesse al Comando degli alleati per guidare l’incursione aerea.

Giacomo, credo proprio che sia andata così, io di preciso non lo so ma credo che Nando sala lo abbia raccontato, a guerra finita, e lasciato scritto.